l'archeologia, l'arte e la musica...la nostra vita

i nostri tesori da valorizzare... L'ARCHEOLOGIA, L'ARTE E LA MUSICA




Il nostro territorio, l'alto casertano, conserva un patrimonio storico - archeologico di inestimabile valore, eppure talvolta lo conosciamo poco oppure è poco valorizzato. E' importante la presenza di esperti professionisti che agiscono nel territorio per la tutela, la conservazione, la promozione e la valorizzazione dei beni culturali per poterlo offrire ai cittadini locali e ai turisti. Questo è l'obiettivo principale del settore archeologia di 'Le Muse'

 

La musica é da sempre un'arte nobile, una lingua universale di comunicazione e di espressione che unisce popoli e persone...proprio questo é l'obiettivo principale del settore musicale delle Muse, trasmettere con la nostra musica e il nostro insegnamento il ritmo e la melodia che ci permette di arrivare ai cuori di chi ascolta e regalare loro piacevoli emozioni.

 

 

LA CHIESA VECCHIA. BREVE STORIA DEL MONUMENTO PIU’ ANTICO DI CALVI RISORTA

La Chiesa Vecchia si colloca a Petrulo, frazione di Calvi Risorta, in provincia di Caserta, in posizione poco elevata, in prossimità della attuale via XX Settembre, tratto principale che conduce a Largo Giovanni XXIII, dove si collocano l’attuale Chiesa a servizio della comunità parrocchiale e il centro della vita sociale degli abitanti petrulesi. La Chiesa Vecchia in  passato si trovava a sinistra del Rio del Maltempo, ormai obliterato da bonifiche di anni recenti, a breve distanza dalla Casina Mandara (attuale Vico Mandara con l’omonimo Palazzo) e con Martini e la Giudea, costituiva uno dei settori insediativi dell’antico borgo di Petrulo. Le fonti storiche principali che ci forniscono alcuni dati sulla prima Chiesa di Petrulo e Calvi Risorta sono quelle fornite da Mons. Fabio Maranta (1583) e Mons. Capece Zurlo (1750/1770). Si tratta di un edificio che si data all’XI/XII secolo, tale ipotesi è sostenuta dalla documentazione architettonica e stilistica. L’impianto è tipico del periodo longobardo e della presenza dei principi longobardi nel territorio capuano e caleno; conserva la stessa tipologia della Cattedrale di S. Casto (è possibile secondo la mia supposizione anche di poco anteriore); lo stile dell’elemento architettonico sembra confermarlo grazie alla decorazione a rilievo vegetale  conservata nella parete muraria presso la porta minore destra d’accesso alla Chiesa e, infine, a sostegno di tale ipotesi anche la datazione del 1106, al di sopra della facciata principale, insieme a una pittura raffigurante San Nicandro, andata perduta. 

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LA CERAMICA CALENA A RILIEVO

Nella Campania settentrionale, Cales, prima villaggio del popolo Ausone e poi importante Colonia Romana, collocata alle falde del Monte Maggiore e presso una ‘trafficata’ via di comunicazione commerciale tra il Lazio e la Campania, che poi prenderà nome di Via Latina, era molto nota, già ai contemporanei, per le sue pregiate risorse agricole e per i prodotti commerciali e artigianali. Tanto che le fonti antiche ne ricordavano la floridezza della sua terra e il proficuo commercio che arricchiva l’economia e la vita sociale dei ricchi Caleni, perfino il geografo Strabone denomina Cales ‘urbs egregia’ mentre Cicerone e Polibio la evocano tra le più belle città della Campania. I vini caleni sono spesso ricordati da poeti e scrittori latini e greci, ricordiamo Giovenale, Plinio il Vecchio, Ateneo ancora Strabone e, infine, Orazio che ne canta le qualità di questi vini da offrire al suo amico Mecenate, tra questi ‘Caecubum et prelo domitam caleno tu bibes uvam…’.  L’ager Calenus, inoltre, era un territorio ricco di sorgenti naturali, di risorse agro – pastorali, di legname per la produzione artigianale di strumenti agricoli, e soprattutto abbondava di argilla per la produzione su vasta scala di una ben nota ceramica a rilievo, che costituiva un prezioso servizio da mensa, non solo per l’aristocrazia locale ma anche per i ricchi patrizi dell’Italia romana. Dunque, ci troviamo di fronte a una produzione di vasellame molto richiesto e diffuso in una vasta e florida rete commerciale, che costituiva una potente base economica per la comunità calena di età romana.

La ceramica calena a rilievo era realizzata con un’argilla grigia o camoscio chiaro o rosato molto depurata, ricoperta con una vernice nera piombina dai riflessi metallici, rappresentata nelle principali forme delle patere con medaglione e patere ombelicate. La prima tipologia, ossia la patera con medaglione centrale, è decorata plasticamente con motivi figurati ed ornamentali a rilievo con soggetti derivanti dalla mitologia greca ( le Centauromachie, Dioniso e Arianna, le fatiche di Eracle) dalle battaglie gladiatorie, episodi dei saccheggi gallici o scene di vita quotidiana mentre la seconda tipologia reca un omphalos centrale, talvolta con fregi concentrici con motivi figurati o vegetali, testine o ‘mascherette’. Tale produzione calena a vernice nera è rappresentata anche dai gutti, dalla forma globulare su alto piede, lungo collo a beccuccio e piccola presa o di forma allungata, che reca il rilievo decorativo sulla parte superiore del vaso mentre i soggetti decorativi costituiscono i Satiri e le Menadi, le Nereidi e i cavalieri al galoppo ma la loro funzione resta incerta, si è anche ipotizzato l’uso di biberon o di versatoio per olio. Tale produzione artistica di alta qualità imita la lavorazione del vasellame in metallo e i motivi decorativi della toreutica mentre il linguaggio iconografico e stilistico si ricollega a quello dell’arte etrusca greca e magno – greco a testimonianza di una unitarietà culturale tra questi centri artigianali dell’Italia meridionale.

Le botteghe artigianali che producevano tale ceramica calena a rilievo sono state individuate dalla ricerca archeologica nei settori marginali della città romana, all’interno e all’esterno delle mura difensive, principalmente, nel settore settentrionale, presso la cosiddetta ‘arce’ medievale, nella zona dell’anfiteatro, nelle vicinanze della necropoli di Pezzasecca, e nell’area meridionale dell’abitato, in località Madonna delle Grazie. La produzione di tale ceramica si data tra il 250 e il 180 a.C., con attestazioni archeologiche in centri della Magna Grecia, della Sicilia e dell’Europa nord – orientale, ceramiche che recano anche la firma dei vasai caleni, quali ad esempio Atilii, Paconii, Gabinii, Canoleii associati all’etnico calenus o al locativo Calebus.

Queste famose patere a rilievo e gutti caleni sono conservati e possono essere ammirati nei vari musei campani, quali il Museo Provinciale Campano di Capua, il Museo Archeologico dell’Antica Capua di Santa Maria Capua Vetere e il Museo Archeologico Nazionale di Napoli mentre altro vasellame dell’antica Cales, insieme a una gran mole di altri beni della produzione artistica delle botteghe artigianali calene è dispersa nei vari musei d’Europa.

 

 

                                                                                                   Dott. ssa Concetta Bonacci

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI GENERALI

C. BONACCI, Cales un'area archeologica da riscoprire, Roma 2013

L. PEDRONI, La Ceramica Calena a vernice nera,  2001

C. PASSARO, Una mostra per Cales, Sparanise 2004

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I CORSI DI METODOLOGIA ORFF PER BAMBINI E RAGAZZI. LA SUA IMPORTANZA PER LA FORMAZIONE MUSICALE

Corso di Metodologia

“ORFF-SCHULWERK /P.G.S- MUSICOTERAPIA” di LE MUSE

 

La Musica, da sempre considerata linguaggio universale,è  l’arte che ci permette di esprimere in maniera diretta e spontanea i  sentimenti di ognuno di noi.

Attraverso le attività musicali dell'Associazione l'obiettivo è sviluppare nei bambini e nei ragazzi il senso ritmico e musicale sempre più represso dal mondo tecnologico che li circonda.  Le attività proposte sono realizzate da esperti del settore musicale con un approccio multidisciplinare e ‘ludico’, stimolando nei bambini e nei ragazzi la curiosità verso la musica.

Le Muse promuove lezioni pratiche e teoriche rivolte ai bambini e ai ragazzi, che hanno l’obiettivo di far conoscere ‘’dal vivo’’ la professione del Musicista  e far comprendere le principali finalità di questa professione, attraverso le metodologie e  gli strumenti attualmente in uso.

Tra gli obiettivi principali dei nostri percorsi didattici musicali prefissati sono :

lo sviluppo delle capacità relazionali;  

 il potenziamento della percezione visiva e tattile;

 

 il senso ritmico le abilità manuali, attraverso la costruzione di piccoli strumenti ritmici, mediante la supervisione  di un esperto del settore, anche attraverso la Metodologia Orff - Schulwerk. 

Attualmente la didattica sta, finalmente, occupando il giusto posto nel panorama della musica; per troppi anni si è lasciato credere che per poter insegnare potesse essere sufficiente il “sapere” da parte del Maestro. La moderna concezione dell’insegnamento ha reso merito ed onore al “discente” non più considerato come un contenitore da riempire, << non importa come e quando purché lo si riempia >> ma come un soggetto di cui avere il massimo rispetto e a cui si devono, con elasticità e cura, proporre le informazioni nei modi e nei tempi che le soggettive capacità d’apprendimento richiedono. Con suddetta finalità si sono formate, in questo ultimo secolo, diverse metodologie didattiche, che si basavano su elementi comuni per poi differenziarsi nelle finalità e modi di impiego. Tra le metodologie più immediate e naturali la Orff-Schulwerk risulta essere sicuramente un punto di riferimento inopinabile. Le basi psico-didattiche sulle quali la Orff-Schulwerk pone le sue radici sono da ricercare nell’abilità di sfruttare in modo sinergico tutti i canali d’apprendimento, in tal modo Carl Orff si pone in una posizione di precursore dei tempi, in quanto intuisce ciò che le neuro-scienze cognitive in seguito riescono a decodificare in modo dettagliato e medico scientifico.

 

Carl Orff, utilizza gli elementi Motorio-verbali-strumentali come formula di partenza e/o arrivo per costruire le basi ritmico-melodiche del “fruitore della musica”. Egli consente attraverso il concetto “parola-gesto-suono” di eludere totalmente le barriere che inavvertitamente i codici della musica hanno creato.                                                                                                                L’intuito e l’abilità di coniugare la libertà di gestione dell’informazione con la capacità di riuscire a creare un percorso aperto che abbia sempre dei parametri riconoscibili e valutabili, fanno della sua metodologia un elemento insostituibile nel panorama della didattica moderna, considerando, inoltre, che  viene applicata sui gruppi, essa ha la caratteristica di ridare  alla musica un ruolo ed un valore troppo spesso trascurato, ossia l’alto potere aggregativo ed emotivo che la musica rappresenta. La musica accompagna tutti gli eventi della nostra vita, viene utilizzata per rafforzare il nostro spirito, incoraggiare attività bellicose o placare gli animi, ma sempre precede, accompagna o supporta uno stato emotivo  da esternare.          

Carl Orff fa un uso razionale del potere induttivo che la musica e la parola sono in grado di creare sempre, indipendentemente dalle capacità di saperne decodificare le strutture e/o le sottostrutture ritmiche, in tal modo tutti, alfabetizzati e non del settore musicale, sono in grado di ritmare una filastrocca, o lasciarsi cullare da una ninna nanna, ciò si identifica con una indiscutibile possibilità di poter partire da ciò che si fa naturalmente e costruirvi le basi per un naturale percorso di esternazione ritmica ed in seguito melodica.                                                   È per queste sue caratteristica che la Orff-Schulwerk, è la metodologia più utilizzata dalle strutture pubbliche, in quanto non essendo vincolata alla conoscenza della decodifica convenzionale, con gradualità e disponibilità gli insegnanti ne possono fare libero uso nelle scuole. La metodologia è utilizzabile dalle materne alle superiori, in quanto, utilizza l’elemento loco-motorio, motorio, propriocettivo ed, in seguito, aggiungendo il supporto verbale  giunge alla risultante di gesto-suono. E’ di facile intuito come ciò che in una 1° elementare viene proposto come una filastrocca, in una scuola media o superiore diverrebbe un Rap da cui trarre una induzione ritmica.

 

 M° Enrica Bonacci

Vicepresidente dell'Associazione e Esperta del settore musicale

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LA STORIA DELLA PASTORELLA DI NATALE DI CALVI RISORTA

Nella tradizione natalizia di diverse regioni italiane di ambiente rurale e contadino erano e sono ancora diffuse  le ‘Pastorelle’, canti di augurio natalizi, accompagnati dal suono degli strumenti a fiato o delle zampogne, strumenti simbolo del Natale, che diffondono nell’aria sentimenti di gioia e di festa. I musici e cantori portano canti natalizi per le vie dei paeselli oppure si propongono suonando di porta in porta ‘la pastorella’ con l’obiettivo di regalare un augurio di buon Natale alle famiglie che li accolgono e ai compaesani. Sono proposti canti della tradizione classica natalizia, tra i quali ‘Tu scendi dalle stelle’, ‘Quanno nascette Ninno’, scritte da Sant’Alfonso Maria de Liguori, canti tratti dalle Pastorali classiche, laudi o testi della tradizione contadina locale.  Ovviamente, in ciascun contesto ci sono delle varianti regionali o locali, il filo che lega tutte le Pastorelle è l’ambiente contadino, semplice di una volta, il legame con i valori e le tradizioni locali, un repertorio strumentale e canoro condiviso da una cerchia di musici e cantori, la trasmissione orale dei canti e delle musiche di generazione in generazione, di padre in figlio, custoditi gelosamente in un ristretto ambito familiare e locale. Le origini e la formazione di queste tradizioni si perde in un passato suggestivo e senza tempo.

Anche il nostro territorio caleno, che ha profonde radici culturali e sociali di tradizione contadina, conserva una bellissima tradizione della ‘Pastorella’, nata a Calvi Risorta, che nelle nostre ricerche con le fonti dirette locali per l’evento ‘Calvi Risorta si racconta’, abbiamo potuto ricostruire le sue origini e la sua storia particolare. L’evento ‘Calvi Risorta si racconta’ ha proposto in tre date la storia del nostro paese attraverso i monumenti, i fatti storici, i personaggi e le tradizioni e credenze popolari, completato da canti e musiche della tradizione musicale locale e dell’ambiente rurale dell’Alto Casertano con l’intento di non perdere la nostra memoria storica locale.

Dunque, La Pastorella è una famosa cantata popolare della tradizione di Zuni, che però nasce originariamente a Visciano. Nel 1910, il maestro Onofrio Squicciarini di Nocelleto, che in quel tempo dirigeva la Banda di Visciano, ne scrisse la partitura basandola su musiche e cantate tradizionali, ma per lungo tempo non venne proposta per suonarla. Negli anni ’30 la famiglia Franco, attraverso il maestro Nicolino, padre di Alberto e Luigi, che dirigeva la banda locale, ne divenne la depositaria e decise di riprendere lo spartito della Pastorella e suonarla per le strade di Visciano nell’antivigilia, come buon auspicio e per augurare ai compaesani buon Natale. Con l’inizio della Seconda Guerra Mondiale il fratello di Nicolino, Antonio, si trasferì a Zuni e portò con sé la Pastorella, infatti i cantori da Visciano andavano a cantarla per lui e la sua famiglia, per la Baronessa e don Girolamo Di Lettera. Questa cantata ammaliò alcuni cantori zunesi, che ne chiesero lo spartito e lo ottennero. Fu dato a Giuseppe Zona, detto ‘U Ministru’, che riuscì a formare un gruppo con Alfredo Merola, Giovanni Merola, Giuseppe Del Vecchio, Gennaro Capuano, Francesco Merola e Antonio Parisi, Antonino Serio, che alle voci unirono strumenti a fiato e a corde oltre a proporre talvolta l’inserimento della zampogna, facendo venire da Piedimonte Matese un suonatore esperto. Dal 1947 la Pastorella fa parte della tradizione popolare di Zuni, segue sempre lo stesso rito iniziale, che prevedeva un giro che iniziava alle 22 del 23 dicembre, sulle note di ‘Dormi non piangere, Gesù diletto…’ partendo dalla piazza Umberto I, davanti alla Chiesa di S. Nicola, i cantori poi proseguivano per le vie della frazione ed  erano accolti alle porte delle case e talvolta i compaesani offrivano loro dolci e bevande e si scambiavano gli auguri. Il cammino terminava nelle prime ore della vigilia fermandosi sempre sulla piazza. La tradizione poi si interrompe per essere ripresa nel 1978 con Nicolino Santillo, che riscrive le varie partiture musicali del maestro Squicciarini. I nuovi cantori che si sono succeduti nel tempo è doveroso ricordarli per aver avuto la capacità di conservare nella memoria locale questa tradizione, tra questi Amedeo De Micco, Federico Parisi, Salvatore Parisi, Giovanni Zona, Antonio Capuano, Nicola Merola. Dopo un periodo di nuova pausa, Nicolino Santillo nel 2003, la riprende insieme a Annibale Mimì Zona e Sergio Caparco, che ne era l’organizzatore dell’evento, riesce a riproporre la Pastorella in maniera diversa, con Domenico Zona e Salvatore Parisi, portandola al cimitero e cantandola ai cari ‘defunti’ la sera del 23 dicembre, in un’atmosfera suggestiva e emozionale che continua ancora oggi, con una nuova ripresa con un gruppo di suonatori caleni, tra i quali Pietro Bucciaglia, Gigi Izzo, Daniele Capuano e Angelo Franco che aiuta nell’organizzazione, che continuano a portarla avanti. L’obiettivo di Le Muse e dei suoi esperti musicisti e volontari che vi collaborano è quello di riproporre nel nostro paese le tradizioni locali che hanno costituito la base della nostra identità storica, culturale e sociale e che rappresentavano i valori di condivisione e di comunità e il legame con la propria terra dei nostri nonni. Quindi, tra i nostri obiettivi è quello di riproporre la Pastorella anche nelle piazze del nostro paese per non perdere queste tradizioni e trasmetterle in futuro ai nostri giovani per formare una comunità unita nel contesto sociale e culturale.

Dott. ssa Concetta Bonacci

M° Enrica Bonacci

ü  Riduzione di un lavoro di ricerca per l’evento ‘Calvi Risorta si racconta’ e che farà parte di una trattazione più ampia che riguarda la storia di Calvi Risorta

 

 

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IL CASTELLO ARAGONESE DI CALVI RISORTA

Valicato a Capua il Volturno e doppiato il bivio per Formia alla taverna Spartivento, dopo un gran rettilineo che punta laggiù verso il colle liscio e rotondo, quanto cominciano a venirvi incontro invece dell'uniforme distesa dei campi di canape i primi filari di ulivi, un segnale di svolta pericolosa e un gran ponte a saetta su un vallone scuro e profondo vi raffrenano la corsa. Par quasi di passare sul tavolato del ponte sospeso sul fossato di una fortezza. Al di là del fossato vi balzano incontro da un lato: un castello diroccato, di tufo bigio e nero con una gran gualdrappa di edera lucente abbrancata al tondo fianco d'una torre; la basilica romanica di San Casto su un colle di ulivi stroncati e scapitozzati come teste canute di vegliardi, e il vecchio edificio del vescovado, settecentesco, con scrittovi su pomposamente Pastificio San Casto tra il rombo smorzato di un mulino invece di un canto liturgico; e dall'altro lato un gran casalone delle vecchie poste borboniche, con un'osteria fumosa; stalle di rimessa; pile di sacchi, di cesti e di cofani; ringhi di cavalli e voci e alterco di barocciai.

E' l'antica Cales la città romana d'avanguardia alle porte della Campania. La via Nazionale che insiste ancora sul vecchio tronco della via Latina, la taglia in due parti: a monte, sul colle di S.Casto, l'arce; a sud il Foro, le Terme, L'Anfiteatro, il Teatro, l'abitato’. Con queste parole esordisce Amedeo Maiuri, il noto archeologo che scavò a Pompei, nel suo libro ‘Passeggiate Campane’,  raccontando il momento in cui scorge, nella sua visita a Cales negli anni ‘50, i ruderi del Castello aragonese e di altri monumenti storici della gloriosa città, offrendoci  un’immagine suggestiva e viva, quasi da cartolina, come lo vediamo ancora oggi se percorriamo la via Casilina, dalla direzione da Capua. Il Castello Aragonese si presenta oggi ancora più maestoso e fiero della sua imponenza per chi passa e non può fare a meno di ammirarlo e rimanere estasiato, dopo i restauri iniziati a partire dal 2009, che per ora hanno riguardato le strutture esterne e non sono ancora completati.

Il Castello Aragonese si ubica in Località Calvi Vecchia, nel Comune di Calvi Risorta, sul limite orientale del pianoro tufaceo, nell’area denominata arce, sul lato sud- ovest è delimitato dall’edificio detto ‘Dogana Borbonica’ e a breve distanza, affacciato sul tratto stradale di accesso all’arce, trasversale alla Casilina, dal Palazzo Vescovile settecentesco, mentre a nord si colloca la maestosa Cattedrale Romanica, che ha sostituito la precedente basilica paleocristiana di fine IV/V secolo d.C., dedicata a S. Casto patrono dell’attuale Calvi Risorta, che si ubicava presso l’attuale autostrada Roma – Napoli, in località ‘Ciavola’. L’attuale Castello aragonese è certamente  preceduto da un primo impianto di carattere militare in epoca altomedievale, il cosiddetto castrum longobardo, almeno tra il IX e l’XI secolo, testimoniato anche nella Historia Langobardorum di Erchemperto, che non è stato rintracciato nelle ricerche recenti. E’ anche possibile che originariamente era costruito in materiale deperibile, infatti,  le fonti ricordano che venne incendiato due anni dopo la costruzione, nell’879, anno in cui Landone, fratello di Atenolfo (principi longobardi della Contea di Capua), riporta la città in pristinum statum. Il sito è quasi completamente abbandonato in epoca normanna, ritorna ad avere nuova vita in epoca angioina – aragonese, assumendo funzione difensiva e di controllo alle porte settentrionali della piana campana, lungo il tracciato viario ricalcato dall’attuale SS. 7 Casilina. Le ricerche recenti hanno messo in evidenza strutture dell’abitato e strutture della cinta fortificata di epoca medievale, che cingono la città almeno a nord - ovest e nord – est, tale fase alto medievale coincide con l’abbandono della città di Cales, che diventa anche luogo di sepoltura, principalmente nell’area dell’anfiteatro e del settore del teatro – tempio, mentre lungo le vie del pianoro si scavano cave di tufo, luoghi di sepoltura e le grotte lungo le pareti adiacenti il Rio dei Lanzi si trasformano in luoghi di culto, tra le quali le note Grotte delle Fornelle e dei Santi con interessanti affreschi talvolta trafugati, e i monumenti, all’interno della città sono oggetto di spoliazione di materiali lapidei e marmorei, come il teatro che diventa con il tempo anche sede di una calcara. Dunque, tra il IV e il V secolo si crea un insediamento accentrato e arroccato sulla cosiddetta arce, difeso dalla nuova strada, che oggi è ricalcata dalla Casilina, la Via Latina non offre più sicurezza in seguito alle calamità naturali e le invasioni barbariche e dei Saraceni poi e questa sarà anche la nuova strada di collegamento con la Contea longobarda di Capua e con Napoli.

Dunque, l’attuale castello, rivela una edificazione databile nel XIII secolo, con rifacimenti e restauri intrapresi fino al XVIII secolo. Trova confronti con altri edifici simili dell’Alto Casertano realizzati nella fase di splendore del Regno di Federico II di Svevia, quali i castelli di Alvignano, di Vairano Patenora, di Mignano Montelungo e Alife, che mostrano analogie nella forma e nei materiali costruttivi con il modello principale, il Maschio Angioino di Napoli. Inoltre, le ristrutturazioni di epoca aragonese sono legate ai progressi dell’artiglieria con l’uso della polvere da sparo e delle armi a tiro radente. E’ costituito da un corpo centrale a pianta quadrata, affiancato sui quattro lati da torri cilindriche, le quali non risultano piene nella loro parte inferiore ma vuote, con varie finestrelle e feritoie dietro le quali trovavano posto i balestrieri e gli archibugieri. Il paramento murario delle torri è realizzato con blocchi di piperino scuro, lisci e regolari, disposti con cura per linee orizzontali nella parte inferiore mentre in quella superiore il paramento murario quattrocentesco è costituito di blocchetti di tufo a faccia ruvida e irregolari. Sulla parte superiore è realizzato un cammino di ronda, utilizzato per il tiro radente, che è collegato tramite due piccole porte alle due torri laterali, da dove è possibile accedere sia al primo piano del castello, sia alla sommità dei bastioni, attraverso le scale interne delle torri. Anche la parte superiore delle cortine risulta ricostruita. Le file terminali delle muraglie sono costituite dallo stesso materiale tufaceo usato nel rifacimento della cima delle torri e identica appare anche la tecnica costruttiva. Tale ristrutturazione ha interessato tutta la parte superiore del castello, probabilmente nel corso del 1400 durante la ‘congiura dei Baroni’ contro Ferrante d’Aragona. Una porta arcuata introduce al castello, ubicata ad occidente e immette in due cortili ai lati dei quali si sviluppano dei locali probabilmente adibiti ai soldati. Dal secondo cortile si può accedere al piano superiore salendo una scala situata nel primo ambiente a sinistra e si giunge al piano cosiddetto nobile, dove si trovano i saloni, gli ambienti riservati agli ospiti. E’ probabile che al di sopra di questo piano ci fosse anche una grande soffitta coperta che si estendeva lungo il perimetro delle cortine, come suppongono alcune strutture murarie sul piano superiore che potrebbero aver svolto la funzione di supporti per la copertura.

L’interno del castello è sviluppato su due livelli, serviti da un corpo di scala con ambienti disposti intorno ad un cortile centrale. In base a una stampa del XIX secolo del Pacichelli sembra che il cortile doveva essere dotato di una copertura. Fino a poco tempo fa si accedeva attraverso l’ingresso di N – O, in direzione del borgo medievale ma l’accesso originario era a S – E, dove lungo il muro di contenimento del fossato restano tracce del probabile ponte levatoio, ricostruito con i lavori di restauro recenti, che hanno messo in luce anche apprestamenti difensivi, quali argini e terrapieni e un antemurale fortificato.

Il castello aragonese è inserito in un borgo costituito da modeste abitazioni, che si sviluppa a occidente di esso,  che rivelano un uso dall’età medievale fino agli edifici di epoca rinascimentale, serviti da una rete stradale urbana. Gli scavi di anni recenti evidenziano una struttura muraria con orientamento est – ovest, in asse con il castello, si tratta di un arco centrale attraverso il quale ci si immetteva in una corte interna, intorno alla quale si sviluppava l’abitato. Il borgo è collegato alla viabilità centrale principale che conduceva al Castello. In età rinascimentale una serie di ambienti si dispongono ai lati del tracciato viario che metteva in comunicazione l’arce con la città bassa. La strada si trasforma in età post – antica in percorso pedonale funzionale all’abitato, con la realizzazione di un marciapiede ai lati delle soglie di ingresso alle abitazioni, con basoli in calcare. La vita nel borgo medievale e rinascimentale di Calvi doveva essere piena e ricca di storia, che ancora oggi per noi è poco nota, dovrebbe essere oggetto di ricerche e studi approfonditi che insieme a quella della Cales preromana e romana deve essere valorizzata e resa fruibile a tutti in un percorso storico – archeologico che comprenda un parco visitabile e un museo o mostra permanente da allestirsi all’interno di una sala del Castello stesso. Le precedenti gestioni comunali non hanno percepito la validità storico – archeologica e identitaria di Cales e della Calvi medievale e rinascimentale e settecentesca, anzi è mancato in loro un serio interesse progettuale e gestionale e la possibilità di una collaborazione e consulenza di figure di esperti specializzati del settore per costruire un parco archeologico e un museo. Soltanto con figure competenti e professionali, archeologi e storici dell’arte specializzati, restauratori, conservatori e curatori museali e altre figure qualificate, si può realmente creare un cammino progettuale consapevole e serio di parco archeologico e museo ‘che costituiscano, non soltanto una base culturale notevole, ma anche un incremento sociale ed economico per la comunità di Calvi Risorta e dei centri limitrofi’. Non lasciamo che Cales muoia nel degrado e nell’abbandono, in progetti gestionali discutibili, privi di professionalità e competenza e che il Castello Aragonese ritorni ad essere quel castello diroccato, di tufo bigio e nero, invaso da sterpaglie e vegetazione come lo ha visto il Maiuri negli anni cinquanta.

Dott. ssa Concetta Bonacci

 

 

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